domenica 25 novembre 2007
E’ andato in scena ieri 24 novembre e in replica anche stasera, al Teatro Kismet di Bari, uno degli spettacoli più attesi della stagione teatrale 2007
E’ andato in scena ieri 24 novembre e in replica anche stasera, al Teatro Kismet di Bari, uno degli spettacoli più attesi della stagione teatrale 2007-2008 “Gomorra”, tratto dal best seller del giovane scrittore Roberto Saviano che ha curato assieme a Mario Gelardi l’adattamento teatrale.
Lo spettacolo per l’occasione è stato preceduto da un incontro organizzato dall’Associazione “LIBERA” dove hanno partecipato personaggi “privilegiati” come alcuni familiari vittime della mafia in Puglia, Pinuccio Fazio, papà di Michele, Alessandro Tedesco , figlio di vittima della mafia, che hanno raccontato la loro esperienza e da dolori così grandi come la perdita di un figlio o di un padre, hanno preso consapevolezza di dover collaborare con le forze dell’ordine per ottenere sia un riconoscimento giuridico ma soprattutto giustizia per i loro cari. Riportando una frase di Don Ciotti, Alessandro Tedesco ha voluto concludere “Loro sono morti, perché noi non siamo stati abbastanza vivi”.
Presente anche Don Raffaele Bruno, sacerdote in prima fila contro “le mafie”, perché se il libro Gomorra ci descrive la mafia della Campania, questa non vive e si moltiplica solo in Campania, ma la troviamo in Calabria, Sicilia e anche in Puglia, perché non parla di qualcosa distante da noi ma al contrario è qualcosa che vive in simbiosi e riesce ad esistere grazie al silenzio e all’omertà di tutti noi.
“La materia è tale che le parole servono pochissimo” interviene Michele Emiliano – sindaco di Bari – ma anche magistrato che ha lottato e lotta contro la mafia. “E’ dura e faticosa questa strada e l’impazienza ma anche il perder tempo gioca a favore della mafia. Bari in prima linea contro la mafia l’avrei voluto vedere tanto tempo fa, forse oggi la Puglia sarebbe stata una regione da portare ad esempio per tutte le altre - prosegue Emiliano – ma il nostro sbaglio è stato unire al nome : sacra corona unita, la parola “salentina”, distogliendoci dal reale problema che non era locale ma regionale” .
L’intervento è terminato a tarallucci e vino, non nel senso metaforico, ma reale, perché si è brindato con il vino prodotto dai vitigni confiscati alla mafia in Sicilia e con i tarallucci prodotti dai campi di grano anch’essi confiscati.
“Per il 15 marzo 2008 - dice Don Bruno – quando ci incontreremo a Bari per la “XIII giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia” brinderemo con il vino di Torchiarolo (Brindisi) e cita una frase di don Tonino Bello la “Puglia arca di pace, ma non arco di guerra”.
Si è passati poi alla rappresentazione teatrale, che con parole non lavorate, grezze ci dice che la mafia o la camorra non riguarda solo Napoli.
Inizia con un monologo dell’attore Ivan Castiglione che interpreta, lo scrittore Roberto Saviano, (uno scrittore e non un intellettuale di 28 anni, come ama definirsi, che con il suo libro sta facendo più danni alla camorra che non anni di guerra da parte dello Stato) e racconta : “per amore del mio popolo non tacerò ed è questo uno dei motivi per cui Don Peppino è stato ucciso”, quasi ad indicarci che parlare di mafia, denunciare chi è mafioso è come decretare propria condanna a morte.
La mafia non è un’organizzazione di sola gente di malaffare, ma è un’organizzazione di “potere” , “potere economico”, che vede alleati i potenti che governano uno Stato, i colletti bianchi che non si sporcano le mani, anche se lavorano nel riciclaggio delle immondizie o nel ciclo del cemento.
Per questo motivo la scenografia è ambientata in un cantiere edile, con sacchi di cemento per terra, bidoni di pittura, impalcature, ponteggi di tubi e legno, scale e colonne di cemento, ad indicare che il primo potere lo si manifesta a dimostrare come si vincono le gare di appalti.
Roberto, il protagonista, per descrivere e raccontare la mafia, vive a stretto contatto con la malavita locale, intorno a lui ruotano 5 personaggi, dalle caratteristiche che ben sottolineano questa organizzazione criminale che ha bisogno:
- del braccio armato, violento quasi animalesco (Pikachu/Francesco di Leva);
- della nuova fauna locale, quella intellettuale, che ha studiato ed è andata all’università e considera uno laureto solo uno “stronzo”, ma un laureto con la pistola in mano “un uomo” (Mariano/Antonio Iannello), e un uomo con un Kalaschnikov , un uomo completo;
- della bassa manovalanza, che deve spacciare droga nelle scuole e nelle piazze, provare i giubbetti antiproiettile e farsi sparare addosso per attestare se sono idonei (Kit Kat/Adriano Pantaleo), senza neppur considerare che le usano come cavie e non li considerano persone
- di persone sminuite usate, senza neppure essere consapevoli di questa situazione (Pasquale/Ernesto Mahieux);
- di persone (la più spregevole) che non si sporca mai le mani e che comanda a distanza, che detiene il potere ed è portatore di “interessi” (Stakeholder/Adriano Pantakeo).
Lo spettacolo si è avvalso di un sottofondo musicale molto incisivo a cura di Francesco Forni e di immagini per meglio sottolineare quando si parlava di sangue, sparatorie e di morti ammazzati elencando dal 1980 al 2006 il numero dei decessi a causa della mafia, un numero impressionante che fa paura 3700. La mafia è l’organizzazione che ha ucciso più di tutti, più dell’ETA e delle Brigate Rosse.
Conclude una frase di Don Peppino “A me non interessa sapere chi è Dio, a me interessa sapere da che parte sta”.
E noi da che parte stiamo?.
Anna deMarzo
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