PHOTOGALLERY by Egidio Magnani

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lunedì 15 gennaio 2007

Marcinelle, la prima tragedia multimediale, raccontata da Fabrizio Saccomanno


Bello, bellissimo lo spettacolo andato in scena al Teatro Abeliano di Bari nei giorni 11, 12, 13, e 14 gennaio “VIA” una produzione dei Cantieri Teatrali Koreja , ideata e progettata da Fabrizio Saccomanno e Stefano De Santis, in scena gli attori Cristina Mileti e lo stesso Fabrizio Saccomanno che ha curato anche la regia.Il titolo “VIA” ha tanti significati il primo quello di indicare il nome delle strade ed è così che inizia il lavoro teatrale. In un palco scarno privo di ogni orpello, solo i due protagonisti con due sedie impagliate, che a seconda della posizione potevano simulare i sedili di un vagone ferroviario, di un cafè Chantal o le poltrone di un salotto. Ci troviamo a Tuglie, paesino del Salento, un signore in automobile chiede informazioni per raggiungere una via, e il protagonista nel dare le informazioni incomincia a fare una dissertazione minuziosa sul nome delle strade, di come la via principale Via Roma, sia stata modificata in Via Aldo Moro e di come Via Topini ora si chiama Via Martiri di Marcinelle.Vi ricordate di Marcinelle? e perché poi martiri?Così senza retorica, senza essere melodrammatico e senza essere eccessivo, perché non occorre esagerare con le parole, bastano i fatti, racconta una storia che ha inizio nel 1946.Con la fine della seconda guerra mondiale si da il “VIA”alla fase della ricostruzione e per far muovere un paese occorreva l’energia prodotta a quei tempi dal carbone.I Paesi Bassi erano ricchi di miniere di carbone ma poveri di uomini e così quando altri stati, come l’Italia, andavano a chiede il carbone, loro più che soldi chiedevano la mano d’opera.Una manna dal cielo per i paesi che potevano affrontare il fenomeno della disoccupazione proponendo ai suoi cittadini lavoro, soldi, case e assistenza sanitaria se decidevano di immigrare nei Pesi Bassi.Per non restare a vivere nella miseria, inizia il “VIA” ad una invasione barbarica, ad un esodo senza storia, dove circa 50.000 italiani lasciano il loro paese in cerca di fortuna.Per la prima volta molti italiani vedono l’Italia dai finestrini di un treno, treni carichi di miserabili che devono affrontare l’umiliazione di una trafila burocratica prima a Milano e poi a Chiasso, in Svizzera, e di seguito rinchiusi come bestiame nei treni che venivano sigillati, perché gli elvetici avevano paura che potessero scegliere la Svizzera come loro meta. Giunti alla stazione di Bruxelle i capi minatori sceglievano gli uomini indicandoli e dicendo :”Tu avec moi” e assegnando loro la destinazione. I poveri italiani capirono di trovarsi in una “VIA” senza uscita, di essere stati truffati dal proprio Paese, di essere solo merce di scambio uomo-carbone. (per ogni uomo che lavorava, l’Italia riceveva 200 Kg di carbone).A nulla era valso ricorrere al Consolato. Gli alloggi tanto decantati altro non erano che i campi di concentramento degli ebrei, e chi non voleva entrare in miniera non potava far ritorno al suo paese natio ma aveva come destinazione lo Petit Chateaux, la prigione.Si entra così in un mondo, quella della miniera, attraverso la discesa repentina di un ascensore per raggiungere la profondità della madre Terra, e da una grande “VIA” si biforcano una miriadi di cunicoli, alti (si fa per dire) anche 40 cm., perché i loro capi dicevano : “Dove entra una lampada entra anche un minatore”.Così inizia il lavoro duro e buio del minatore. Si scavava, si puntellava e si metteva una trave, perché la montagna premeva e c’era il rischio che da un momento all’altro potesse cedere.Si lavorava a cottimo anche di notte, con la paura del grisou, una miscela inodore e mortale che si sviluppa nelle miniere, tutti i giorni sono uguali e neri, come nerisono i loro volti e i loro vestiti.Ma l’8 agosto del 1956, il Belgio fu percorso da una tragedia.La miniera del Bois du Cazier , a causa di un errore umano andò a fuoco.I primi soccorso recuperarono 6 feriti, nacque l’illusione di poterli salvare tutti. Ma i giorni passarono e la speranza svanì.Morirono 262 persone, di cui 136 italiane, le altre vittime di nazionalità diversa.I minatori rimasero senza “VIA” di scampo soffocati dalle esalazioni del grisou. Si agì per “VIA” legale, ci fu un’inchiesta, ma i responsabili furono tutti assolti perché si trattava di un problema di strutturale.In Belgio le miniere furono in seguito chiuse con una gettata di cemento tranne quella del Bois di Cazier, perché i parenti dei morti, i cui corpi non ancora recuperati, hanno manifestato dichiarando che :”Questa miniera è sacra e non si tocca”.Il lavoro di Fabrizio Saccomanno che porta in scena è un monologo di circa 80 minuti che incolla gli spettatori alla sedia e la figura di Cristina Mileti che non proferisce parola, sembra invece gridare il dolore delle donne di tutti gli immigrati e nella tragica espressività del suo sguardo si vede la sfiducia, la disperazione e l’incertezza del futuro.Ieri sera c’è stato un fuori programma da parte di Saccomanno, che ha voluto ringraziare il Teatro Abeliano per l’accoglienza ottenuta ed ha divertito i presenti con un racconto di suo nonno che ha come morale “Un conto è recarsi in un posto come turista e l’altra come immigrante”.
Anna DeMarzo

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